Nietzsche, il riso e i grandi libri

Coloro che leggono Nietzsche senza ridere, e senza ridere molto, senza ridere spesso, colti talvolta da un fou rire, è come se non leggessero Nietzsche. Il che è vero non solo per Nietzsche, ma per tutti gli autori che compongono l’orizzonte della nostra controcultura. La nostra decadenza, la nostra degenerazione sono provate dal fatto che sentiamo sempre il bisogno di mostrare a tutti la nostra angoscia, la nostra solitudine, il nostro senso di colpa, il dramma della comunicazione, la nostra tragedia interiore. Ma anche Max Brod ricorda, ad esempio, come il pubblico fosse preso da fou rire nell’ascoltare Kafka che leggeva Il processo. E Beckett è davvero difficile leggerlo senza ridere, senza passare da un momento di gioia all’altro. Il riso è importante, non il significante. Il riso-schizo, o la gioia rivoluzionaria, è ciò che i grandi libri suscitano, invece delle nostre piccole angosce narcisistiche e del terrore per chissà quale colpa. Potremmo definire tutto questo «il comico del superumano», prodotto da una sorta di «clown di Dio». Dai grandi libri si sprigiona comunque sempre una gioia indescrivibile, anche quando parlano di cose brutte, disperanti, terribili. Ogni grande libro attua già una trasformazione, e produce la salute di domani. Non si può evitare di ridere quando si confondono tutti i codici. Una volta che il pensiero è entrato in rapporto con il fuori, si scatenano momenti di riso dionisiaco – è il pensiero all’aria aperta. A Nietzsche capita spesso di trovarsi dinanzi a qualcosa di disgustoso, ignobile, vomitevole. Ma egli in questi frangenti si mette a ridere e affonda il dito nella piaga. Dice a tutti noi: ancora uno sforzo, non è abbastanza disgustoso; oppure: è straordinario quanto sia disgustoso, è una meraviglia, un capolavoro, un fiore velenoso, finalmente «l’uomo incomincia a diventare interessante».

(Gilles Deleuze, “Nietzsche e la filosofia“)

(Ultima modifica: 20 Febbraio 2021)

,

Quando il futuro scrive il presente

Nel saggio, ormai classico e anche un po’ vintage, di Nicholas Negroponte (co-fondatore assieme a Jerome Wiesner del MediaLab del MIT di Boston) “Essere digitali” (1995) a p. 91 ho trovato un’interessante annotazione a proposito della genesi di “2001: Odissea nello spazio” di Arthur C. Clarke:

Nel 1968 Arthur C. Clarke divise con Stanley Kubrick la designazione al premio Oscar per il film: 2001: Odissea nello spazio. Stranamente il film uscì prima del libro. Clarke fu così in grado di rivedere il suo manoscritto dopo aver visto la prima edizione del film (basata su una precedente versione della storia). In sostanza, Clarke potè simulare la sua storia e quindi perfezionarla. Egli fu in grado di vedere e sentire le sue idee prima di darle alla stampa.

Continue reading

(Ultima modifica: 4 Marzo 2023)

La letteratura come suono

Nei diari del 1950 di Jack Kerouac c’è un brano piuttosto divertente, tra il serio e il faceto, in cui lo scrittore prova a sintetizzare il senso di un’opera letteraria in un suono:

Nelle opere di Dostoevskij tutti continuano a dire “Hmm” a se stessi… questa è la chiave della sua concezione dell’uomo: “Hmm“. (Quali misteri racchiude?) (Cosa intende con questo gemito?) Mi chiedo se il mio suono personale in C & M fosse “Ah?“, “Ah?” il fondamento della mia visione. Come se dicessi: “So perfettamente cosa sta succedendo, ma fingerò di non averlo neanche sentito”. Al che Dusty risponde: “Hmm“. Qual è l’esclamazione di Balzac? Un giorno lo scoprirò. Magari è “Hup! Hup!“: il suono di tutti coloro che si buttano con entusiasmo nelle loro passioni e nei loro destini. Quella di Céline è una bestemmia e quella di Melville un fischio. Nelle opere di Twain la chiave è il termine “soddisfatto”. Nei romanzi di Céline, invece, è “Wah! Wah!” o “Hoik! Hoik!“.

Continue reading

(Ultima modifica: 31 Gennaio 2016)

Storiella zen sull’email

L’e-mail è una cosa davvero buffa. Le persone ti mandano questi piccoli messaggi che non sono più pesanti di un ciottolo di fiume. Ma non ci vuol molto per accumulare un mucchio di sassolini più alto di te, e così pesante da non aver speranze di sollevarlo, anche facendo molti viaggi. Ma per la persona che ti ha dato il suo sassolino sembra oltraggioso che tu non possa fare i conti con quella piccola cosa. “Quale mucchio? È solo un sassolino!”.

(Merlin Mann, esperto di usabilità del software)

(Ultima modifica: 31 Gennaio 2016)

Davvero volete essere scollegati?

Pregi e difetti del digiuno digitale

Puntualmente escono studi contrastanti sugli effetti che internet, i social media e Facebook hanno sul nostro cervello che dimostrano nulla e il contrario di nulla. E puntualmente saltano fuori giornalisti o esperti che si privano volontariamente di una connessione per un certo periodo per vedere quello che succede.

1. Paul Miller: il reale del virtuale e il virtuale del reale

Lo scrittore Paul Miller ha rinunciato a internet per un anno. Le conclusioni a cui arriva dopo questo esperimento, però, sembrano abbastanza banali: internet non ci può definire come persone. Lo può fare solo parzialmente. Citando Nathan Jurgenson dice che

c’è molta “realtà” nel virtuale, e molto “virtuale” nella nostra realtà.

Continue reading

(Ultima modifica: 23 Luglio 2017)