“I vagabondi“ di Neal Cassady

Il titolo originale di questo libro è “The first third”, il primo terzo (riferito alla prima frazione della vita – doveva essere seguito da altri due volumi, ma tutto si è fermato con la morte dell’autore).

Se amate Jack Kerouac e la Beat Generation è un testo fondamentale, che merita di essere letto (in Italia, però, è fuori catalogo). Si tratta, infatti, dell’autobiografia incompiuta di Neal Cassady, l’uomo che è stato a lungo il migliore amico e ispiratore di Jack Kerouac. Il libro racconta la sua infanzia e adolescenza, tra le strade di Denver e Salt Lake City, le avventure con i suoi amici ribelli, le sue esperienze sessuali e le sue prime esperienze con le droghe. 

Il libro si interrompe bruscamente nel 1947, quando Cassady ha 21 anni e incontra Jack Kerouac, il suo futuro amico e compagno di viaggio. Nel romanzo “Sulla strada” di Kerouac, uno dei protagonisti, Dean Moriarty è l’alter ego di Neal Cassady. Ironia della sorte, la pubblicazione del romanzo manifesto della Beat Generation, nel 1957, segna un punto di rottura nell’amicizia tra Kerouac e Cassady.

La cosa più interessante di questi racconti autobiografici non è neanche quello che raccontano, ma come lo raccontano. Lo stile è vivace e spontaneo, riflette la personalità di Cassady e il suo modo di parlare. L’autore non si preoccupa di seguire le regole della grammatica o della punteggiatura, ma cerca di trasmettere il ritmo e il suono della sua voce. 

Molto si è detto su come Kerouac si sia “formato” studiando lo stile di Cassady (i due amici si scrivevano lettere lunghissime in cui si raccontavano tutto) e su come proprio il modo di parlare del suo amico Neal abbia aiutato Kerouac a trovare la sua voce. 

Ma non bisogna neanche sopravvalutare questa influenza. Neal Cassady non era un grande scrittore. Jack Kerouac, invece, lo è stato. La sua scrittura si è nutrita anche di poesia, buddhismo zen e jazz (il be bop di Charlie Parker): ecco perché quando toccava le sue vette, diventava musica.

(Ultima modifica: 15 Maggio 2023)

“Il libro dei libri perduti” di Stuart Kelly

L’introduzione di questo prezioso e raro saggio del critico letterario scozzese Stuart Kelly è il racconto dell’educazione letteraria di un bibliofilo. 

Già da adolescente, l’autore si rese conto che una lettura sufficientemente approfondita genera delle domande che molto spesso non possono avere una risposta semplice e che si riferiscono ai libri collegati, direttamente o indirettamente, al libro che si sta leggendo.

Già da adolescente, quindi, Stuart Kelly cominciò a costruire una lista di libri che non sarebbe mai riuscito a trovare, né tanto meno a consultare.

“Il libro dei libri perduti” è una tappa importante di questa ricerca che è durata tutta una vita. Ciò che è affascinante e a cui spesso non si pensa, è che la storia della letteratura è anche la storia della perdita della letteratura, cioè dei libri e della conoscenza che sono andati persi per sempre e che, in modi diversi, si è cercato di ricostruire o recuperare.

Per cercare di recuperare l’irrecuperabile, alla filologia, lo studio delle fonti e delle lingue, si sono uniti nel corso dei secoli lo studio dei materiali su cui è stata impressa la parola scritta, dalla pietra, all’argilla, alla carta. Anche la storia della tecnologia è importante perché, come sappiamo, il libro non è l’unico dispositivo utilizzabile per leggere e trasmettere conoscenza.

Non è solo il tempo che deteriora un libro fino a farlo scomparire (persino la carta talvolta si divora da sola, bruciando nei suoi stessi acidi). Un autore può decidere di distruggere la sua stessa opera, o ancora peggio, di non scriverla. Per fortuna, alcune persone si trovano nel posto giusto al momento giusto. Senza Max Brod forse conosceremmo pochissimo o nulla di Franz Kafka, perché lo scrittore praghese voleva bruciare tutti i suoi scritti. Senza Platone ignoreremmo l’esistenza di Socrate.

La comparsa di un libro all’interno di una cultura di un certo tipo, più o meno autoritaria, inoltre, può contribuire alla sua estinzione o distruzione.

Tuttavia, per Stuart Kelly, un libro perduto rappresenta anche, in certa misura, un desiderio da realizzare. “Il libro perduto, come la persona che non avete mai osato invitare a ballare, diventa molto più intrigante perché può essere perfetto solo nell’immaginazione.

(Ultima modifica: 1 Maggio 2023)

“Cento lettere a uno sconosciuto“ di Roberto Calasso

Questo libro è una raccolta di risvolti di copertina, l’ennesimo libro di libri, un genere che amo particolarmente perché ho una concezione borgesiana, labirintica della cultura. 

Parte del piacere che provo nella lettura nasce proprio da digressioni, rimandi, derive e sconfinamenti che mi allontanano dal focus, ma mi portano nei casi più fortunati in territori che non avrei mai immaginato. Così succede che comincio ad amare di più un certo autore, non solo per quello che ha scritto, ma anche per dove riesce a portarmi quando, leggendolo, smetto di farmi accompagnare da lui.

Roberto Calasso sceglie cento risvolti e ci porta alla scoperta di cento titoli Adelphi, non i migliori, non i più interessanti, ma quelli più capaci di esistere come lettere indipendenti a un estraneo, il lettore. Quest’ultimo, quando sfoglia un volume per la prima volta (o per l’ennesima) e si imbatte nel risvolto, sta aprendo una busta e quelle righe sono la lettera che lo convincerà a leggere quel libro oppure no.

Non bisogna dimenticare che il filosofo autore di questo saggio considera l’editoria un genere letterario. Nella sua visione, l’intero catalogo è un unico libro composto da duemila capitoli. È il potere quantistico delle edizioni Adelphi.

Nel saggio introduttivo “Risvolto dei risvolti”, c’è un passaggio interessante in cui Roberto Calasso dice che una delle cose più importanti nel suo mestiere è che l’editore provi piacere a leggere i libri che pubblica. E poi aggiunge:

Ma non è forse vero che tutti i libri che ci hanno dato un qualche piacere formano nella nostra mente una creatura composita, le cui articolazioni sono però legate da un’invincibile affinità?

Calasso poi, ironicamente, ricorda quando l’Adelphi era considerata una casa editrice per intellettuali, per pochi, addirittura “snob” (così la definì Goffredo Parise, paradossalmente finito, postumo, anche lui nel catalogo Adelphi). Quest’aura continua a esserci. Ma forse è proprio questa la cifra dell’Adelphi: fin dal principio è stata in grado di creare e plasmare un proprio lettore, mediamente molto curioso e intelligente, fidelizzato e ondivago, che riesce a saltare con disinvoltura dagli aforismi di Nietzsche, al codice dell’anima di Hillman, alla manutenzione della motocicletta di Pirsig, alle neuroscienze di Antonio Damasio, alla gravità quantistica di Carlo Rovelli.

Insomma, la casa editrice di Roberto Calasso è un multiverso culturale in cui è divertente e produttivo perdersi e questo libro, un’anti-mappa letteraria, ci aiuta a farlo molto bene.

(Ultima modifica: 1 Maggio 2023)

“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?“ di Philip K. Dick

Ci ho messo molti anni prima di decidermi a leggere questo romanzo. 

Chi ha visto “Blade runner” di Ridley Scott, il film capolavoro che ha tratto ispirazione dal libro di Dick, si è già nutrito di quell’immaginario cyberpunk: paesaggi urbani avveniristici con una pioggia tossica e perenne, quartieri popolari con pubblicità olografiche, insegne al neon e ogni genere di botteghe e negozi di contrabbando e, soprattutto, un ricchissimo sottobosco di personaggi che vivono ai margini della città o al limite tra ciò che è consentito e ciò che non lo è.

Allo stesso modo è quasi impossibile non vedere il viso di Harrison Ford quando entra in scena il cacciatore di taglie Rick Deckard. Ma già dopo qualche pagina si capisce che il protagonista di Philip Dick è molto diverso da quello di Ridley Scott.

Il primo ha più spessore e, inaspettatamente, una vita domestica (con una moglie!), che nel film è quasi assente (il personaggio di Harrison Ford per quasi tutto il tempo è un solitario: vive per conto suo e non sembra gradire più di tanto la compagnia di altri esseri umani).

Dick ha scritto il romanzo nel 1968 e, ancora una volta, è impressionante come la migliore fantascienza sembra parlarci di un mondo non molto lontano, che è dietro l’angolo, anche se è stato immaginato dalla mente di uno scrittore cinquant’anni fa.

Il tema principale è lo stesso: gli androidi (o replicanti) e la profonda riflessione su ciò che è umano e ciò che non lo è. Un dilemma filosofico gigantesco e sempre più attuale (visto lo sviluppo esponenziale delle intelligenze artificiali).

Un tema secondario, ma non troppo, che si intuisce già dal titolo e che troverete sviluppato solo nel romanzo è quello degli animali. Nel futuro immaginato da Dick questi sono diventati sempre più rari e sono stati sostituiti quasi del tutto da animali elettrici, nell’aspetto simili in tutto e per tutto ad un animale normale, ma di fatto robot progettati e programmati in maniera più o meno sofisticata. Quindi un animale è uno status symbol. Il suo valore cresce a dismisura se è vivo e non elettrico.

Ma c’è un livello più sottile. È come se l’accudimento di un animale rappresentasse una sorta di riparazione per i danni irreparabili arrecati alla Terra e ai suoi ecosistemi.

Prendersi cura di un animale porta gli uomini a considerarsi empatici e buoni, ma, nella visione di Philip Dick, forse è più un modo per pulirsi la conoscenza. 

In ultima istanza, avere un animale serve a illudersi di provare ancora un briciolo di umanità, anche se gli uomini non si comportano molto diversamente dagli androidi a cui danno la caccia e che considerano inferiori.

(Ultima modifica: 6 Marzo 2023)

Il valore quantistico delle edizioni Adelphi

Nelle case editrici, a dare un contesto (e forse anche un’aura) a un libro pubblicato ci pensano le Collane. Queste non definiscono solo un genere (poesia, narrativa, saggistica, varia), ma, talvolta, anche uno stile, una tradizione, affinità e parentele. Un libro di una Collana, quindi, comunica e si nutre anche dei significati degli altri volumi della stessa Collana. Un lettore, tuttavia, è libero di ignorare completamente gli altri titoli e l’entanglement che li lega tutti insieme.

Il catalogo dei libri delle edizioni Adelphi, però, va ben al di là delle parentele di Collana.

Lo stesso libro, anche se già edito e passato per fiere, librerie e mercatini, se ripubblicato da Adelphi, sembra trasfigurarsi.

Perché si ha l’impressione di leggere un libro diverso?

È come se le edizioni Adelphi avessero un “valore quantistico”. Proprio tirando in ballo la meccanica quantistica Guido Vitiello prova a spiegare questo fenomeno:

Formuliamo dunque un “principio di complementarità” editoriale: i libri Adelphi possono esser considerati, a seconda del tipo di osservazione, come onde o come particelle. Sotto l’aspetto corpuscolare, “Giustizia” è lo stesso libro già proposto da Marcos y Marcos: non uno iota è cambiato. Se lo consideriamo sotto l’aspetto ondulatorio, però, tutto appare diverso: il romanzo di Dürrenmatt diventa una delle carte del solitario che Roberto Calasso gioca (in sanscrito stretto, c’è da giurarci) con la propria mente. È lui stesso, d’altro canto, a sostenere che l’arte dell’editoria è “la capacità di dare forma a una pluralità di libri come se essi fossero i capitoli di un unico libro”.

Il Dürrenmatt di Adelphi non è quello di Marcos y Marcos proprio come il Kant di Adelphi non è quello di Laterza, il Wittgenstein di Adelphi non è quello di Einaudi, lo Sciascia di Adelphi non è quello di Sellerio. La nuova cornice impone di leggerli come libri a sé stanti e, insieme, come glosse all’opera di Calasso; come corpuscoli ben definiti e come vibrazioni di quel grande moto ondulatorio che è il catalogo Adelphi.

Un lungo serpente di pagine

Roberto Calasso, nell’introduzione a una raccolta di risvolti, “Cento lettere a uno sconosciuto“, scrive:

Che cos’è una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di segmenti come un unico libro? Un libro che contiene in sé molti generi, molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza, aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore. Un libro perverso e polimorfo, dove si mira alla poikilÍa, alla «variegatezza», senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari avevano ignorato nella loro vita.

Contenitori di moltitudini o libri-cipolla

In un altro articolo, tra l’erudito e l’ilare (un po’ la sua cifra stilistica) Guido Vitiello si spinge più in là, parlando della moltitudine di livelli di lettura e significato presente in molte pubblicazioni Adelphi, che li trasforma in libri-cipolla, da sfogliare velo dopo velo:

Usurpandone una bella formula, diremo che “Le nozze di Cadmo e Armonia”, e per estensione tutta l’opera del suo autore, può leggersi «a modo di un cavolo o carciofo dalle infinite foglie come il libro universale che Letizia Alvarez di Toledo propose a Borges di sostituire alla sua Biblioteca di Babele». Cavoli, carciofi o anche, se piace, cipolle come quella del “Peer Gynt”. Sono simboli triviali, certo: ma ciò che sta in basso, sul banco del verduraio, è come quel che sta in alto, nei cieli della «letteratura assoluta». E cavoli, carciofi e cipolle – absit iniuria – si applicano meravigliosamente a uno scrittore che del principio delle «infinite foglie», o degli infiniti velami, ha fatto il cardine della sua opera: quasi non c’è pagina di Calasso in cui non si dica che una verità è la guaina di un’altra, la quale a sua volta è la fodera di un’altra rivelazione; quasi non c’è frase dove non si parli di maschere, travestimenti, specchi, teatri delle ombre, superfici che nascondono altre superfici, danze dei sette veli che non conducono mai alle nudità della signorina Alétheia, alla verità qual è, ma sempre e solo a ulteriori e più intimi tegumenti.

Un libro edito Adelphi diventa quindi, – citando sempre Vitiello – nei casi migliori, una sontuosa Wunderkammern in cui è dilettoso smarrirsi, una camera delle meraviglie che compone uno dei palazzi più degni della nostra editoria: il catalogo Adelphi, quell’ininterrotto soliloquio fatto di libri e di autori che è un’estensione delle idiosincrasie del suo animatore, l’elusivo e affabile Roberto Calasso.

(Ultima modifica: 4 Marzo 2023)