“Cento lettere a uno sconosciuto“ di Roberto Calasso

Questo libro è una raccolta di risvolti di copertina, l’ennesimo libro di libri, un genere che amo particolarmente perché ho una concezione borgesiana, labirintica della cultura. 

Parte del piacere che provo nella lettura nasce proprio da digressioni, rimandi, derive e sconfinamenti che mi allontanano dal focus, ma mi portano nei casi più fortunati in territori che non avrei mai immaginato. Così succede che comincio ad amare di più un certo autore, non solo per quello che ha scritto, ma anche per dove riesce a portarmi quando, leggendolo, smetto di farmi accompagnare da lui.

Roberto Calasso sceglie cento risvolti e ci porta alla scoperta di cento titoli Adelphi, non i migliori, non i più interessanti, ma quelli più capaci di esistere come lettere indipendenti a un estraneo, il lettore. Quest’ultimo, quando sfoglia un volume per la prima volta (o per l’ennesima) e si imbatte nel risvolto, sta aprendo una busta e quelle righe sono la lettera che lo convincerà a leggere quel libro oppure no.

Non bisogna dimenticare che il filosofo autore di questo saggio considera l’editoria un genere letterario. Nella sua visione, l’intero catalogo è un unico libro composto da duemila capitoli. È il potere quantistico delle edizioni Adelphi.

Nel saggio introduttivo “Risvolto dei risvolti”, c’è un passaggio interessante in cui Roberto Calasso dice che una delle cose più importanti nel suo mestiere è che l’editore provi piacere a leggere i libri che pubblica. E poi aggiunge:

Ma non è forse vero che tutti i libri che ci hanno dato un qualche piacere formano nella nostra mente una creatura composita, le cui articolazioni sono però legate da un’invincibile affinità?

Calasso poi, ironicamente, ricorda quando l’Adelphi era considerata una casa editrice per intellettuali, per pochi, addirittura “snob” (così la definì Goffredo Parise, paradossalmente finito, postumo, anche lui nel catalogo Adelphi). Quest’aura continua a esserci. Ma forse è proprio questa la cifra dell’Adelphi: fin dal principio è stata in grado di creare e plasmare un proprio lettore, mediamente molto curioso e intelligente, fidelizzato e ondivago, che riesce a saltare con disinvoltura dagli aforismi di Nietzsche, al codice dell’anima di Hillman, alla manutenzione della motocicletta di Pirsig, alle neuroscienze di Antonio Damasio, alla gravità quantistica di Carlo Rovelli.

Insomma, la casa editrice di Roberto Calasso è un multiverso culturale in cui è divertente e produttivo perdersi e questo libro, un’anti-mappa letteraria, ci aiuta a farlo molto bene.

(Ultima modifica: 1 Maggio 2023)

“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?“ di Philip K. Dick

Ci ho messo molti anni prima di decidermi a leggere questo romanzo. 

Chi ha visto “Blade runner” di Ridley Scott, il film capolavoro che ha tratto ispirazione dal libro di Dick, si è già nutrito di quell’immaginario cyberpunk: paesaggi urbani avveniristici con una pioggia tossica e perenne, quartieri popolari con pubblicità olografiche, insegne al neon e ogni genere di botteghe e negozi di contrabbando e, soprattutto, un ricchissimo sottobosco di personaggi che vivono ai margini della città o al limite tra ciò che è consentito e ciò che non lo è.

Allo stesso modo è quasi impossibile non vedere il viso di Harrison Ford quando entra in scena il cacciatore di taglie Rick Deckard. Ma già dopo qualche pagina si capisce che il protagonista di Philip Dick è molto diverso da quello di Ridley Scott.

Il primo ha più spessore e, inaspettatamente, una vita domestica (con una moglie!), che nel film è quasi assente (il personaggio di Harrison Ford per quasi tutto il tempo è un solitario: vive per conto suo e non sembra gradire più di tanto la compagnia di altri esseri umani).

Dick ha scritto il romanzo nel 1968 e, ancora una volta, è impressionante come la migliore fantascienza sembra parlarci di un mondo non molto lontano, che è dietro l’angolo, anche se è stato immaginato dalla mente di uno scrittore cinquant’anni fa.

Il tema principale è lo stesso: gli androidi (o replicanti) e la profonda riflessione su ciò che è umano e ciò che non lo è. Un dilemma filosofico gigantesco e sempre più attuale (visto lo sviluppo esponenziale delle intelligenze artificiali).

Un tema secondario, ma non troppo, che si intuisce già dal titolo e che troverete sviluppato solo nel romanzo è quello degli animali. Nel futuro immaginato da Dick questi sono diventati sempre più rari e sono stati sostituiti quasi del tutto da animali elettrici, nell’aspetto simili in tutto e per tutto ad un animale normale, ma di fatto robot progettati e programmati in maniera più o meno sofisticata. Quindi un animale è uno status symbol. Il suo valore cresce a dismisura se è vivo e non elettrico.

Ma c’è un livello più sottile. È come se l’accudimento di un animale rappresentasse una sorta di riparazione per i danni irreparabili arrecati alla Terra e ai suoi ecosistemi.

Prendersi cura di un animale porta gli uomini a considerarsi empatici e buoni, ma, nella visione di Philip Dick, forse è più un modo per pulirsi la conoscenza. 

In ultima istanza, avere un animale serve a illudersi di provare ancora un briciolo di umanità, anche se gli uomini non si comportano molto diversamente dagli androidi a cui danno la caccia e che considerano inferiori.

(Ultima modifica: 6 Marzo 2023)

Il valore quantistico delle edizioni Adelphi

Nelle case editrici, a dare un contesto (e forse anche un’aura) a un libro pubblicato ci pensano le Collane. Queste non definiscono solo un genere (poesia, narrativa, saggistica, varia), ma, talvolta, anche uno stile, una tradizione, affinità e parentele. Un libro di una Collana, quindi, comunica e si nutre anche dei significati degli altri volumi della stessa Collana. Un lettore, tuttavia, è libero di ignorare completamente gli altri titoli e l’entanglement che li lega tutti insieme.

Il catalogo dei libri delle edizioni Adelphi, però, va ben al di là delle parentele di Collana.

Lo stesso libro, anche se già edito e passato per fiere, librerie e mercatini, se ripubblicato da Adelphi, sembra trasfigurarsi.

Perché si ha l’impressione di leggere un libro diverso?

È come se le edizioni Adelphi avessero un “valore quantistico”. Proprio tirando in ballo la meccanica quantistica Guido Vitiello prova a spiegare questo fenomeno:

Formuliamo dunque un “principio di complementarità” editoriale: i libri Adelphi possono esser considerati, a seconda del tipo di osservazione, come onde o come particelle. Sotto l’aspetto corpuscolare, “Giustizia” è lo stesso libro già proposto da Marcos y Marcos: non uno iota è cambiato. Se lo consideriamo sotto l’aspetto ondulatorio, però, tutto appare diverso: il romanzo di Dürrenmatt diventa una delle carte del solitario che Roberto Calasso gioca (in sanscrito stretto, c’è da giurarci) con la propria mente. È lui stesso, d’altro canto, a sostenere che l’arte dell’editoria è “la capacità di dare forma a una pluralità di libri come se essi fossero i capitoli di un unico libro”.

Il Dürrenmatt di Adelphi non è quello di Marcos y Marcos proprio come il Kant di Adelphi non è quello di Laterza, il Wittgenstein di Adelphi non è quello di Einaudi, lo Sciascia di Adelphi non è quello di Sellerio. La nuova cornice impone di leggerli come libri a sé stanti e, insieme, come glosse all’opera di Calasso; come corpuscoli ben definiti e come vibrazioni di quel grande moto ondulatorio che è il catalogo Adelphi.

Un lungo serpente di pagine

Roberto Calasso, nell’introduzione a una raccolta di risvolti, “Cento lettere a uno sconosciuto“, scrive:

Che cos’è una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di segmenti come un unico libro? Un libro che contiene in sé molti generi, molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza, aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore. Un libro perverso e polimorfo, dove si mira alla poikilÍa, alla «variegatezza», senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari avevano ignorato nella loro vita.

Contenitori di moltitudini o libri-cipolla

In un altro articolo, tra l’erudito e l’ilare (un po’ la sua cifra stilistica) Guido Vitiello si spinge più in là, parlando della moltitudine di livelli di lettura e significato presente in molte pubblicazioni Adelphi, che li trasforma in libri-cipolla, da sfogliare velo dopo velo:

Usurpandone una bella formula, diremo che “Le nozze di Cadmo e Armonia”, e per estensione tutta l’opera del suo autore, può leggersi «a modo di un cavolo o carciofo dalle infinite foglie come il libro universale che Letizia Alvarez di Toledo propose a Borges di sostituire alla sua Biblioteca di Babele». Cavoli, carciofi o anche, se piace, cipolle come quella del “Peer Gynt”. Sono simboli triviali, certo: ma ciò che sta in basso, sul banco del verduraio, è come quel che sta in alto, nei cieli della «letteratura assoluta». E cavoli, carciofi e cipolle – absit iniuria – si applicano meravigliosamente a uno scrittore che del principio delle «infinite foglie», o degli infiniti velami, ha fatto il cardine della sua opera: quasi non c’è pagina di Calasso in cui non si dica che una verità è la guaina di un’altra, la quale a sua volta è la fodera di un’altra rivelazione; quasi non c’è frase dove non si parli di maschere, travestimenti, specchi, teatri delle ombre, superfici che nascondono altre superfici, danze dei sette veli che non conducono mai alle nudità della signorina Alétheia, alla verità qual è, ma sempre e solo a ulteriori e più intimi tegumenti.

Un libro edito Adelphi diventa quindi, – citando sempre Vitiello – nei casi migliori, una sontuosa Wunderkammern in cui è dilettoso smarrirsi, una camera delle meraviglie che compone uno dei palazzi più degni della nostra editoria: il catalogo Adelphi, quell’ininterrotto soliloquio fatto di libri e di autori che è un’estensione delle idiosincrasie del suo animatore, l’elusivo e affabile Roberto Calasso.

(Ultima modifica: 4 Marzo 2023)