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La tecnologia (non ancora) immaginata

Fino a qualche anno fa, su questo blog, mi divertivo a raccogliere le previsioni dei futurologi sulla tecnologia che, di lì a poco, avremmo visto nelle nostre vite.

Riguardando quei vecchi articoli, molti ci hanno preso, in effetti.

Internet delle Cose

L’Internet delle Cose (Internet of Things o IoT) è realtà. Non ci facciamo più caso, ma sono tantissimi gli oggetti di uso comune connessi alla Rete. Non solo i nostri dispositivi (smartphone e smartwatch in primis), ma anche la maggior parte dei televisori con i quali usiamo le piattaforme di streaming (Netflix e compagnia bella). E sono sempre di più gli assistenti virtuali che controllano elettrodomestici e le app che informano su tutto quello che sta succedendo nella nostra casa. Tuttavia, il problema resta la sicurezza di avere un ambiente domestico connesso a Internet. Chi ha visto la serie tv Mr. Robot sicuramente si ricorda cosa succede all’avvocato Susan Jacobs.

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Realtà Aumentata

La Realtà Aumentata si diffonde sempre di più. E gli investimenti sono importanti. Pensiamo ai cataloghi virtuali sotto forma di app come quello dell’IKEA, che consente di posizionare nello spazio virtuale di casa tutti i mobili e gli oggetti in catalogo, osservandoli sullo schermo come se fossero realmente presenti davanti a noi, anche attraverso angolazioni diverse. C’erano una volta i Google Glass. Poi è arrivato Oculus Rift. Ora Meta (ex Facebook) sta lanciando Quest 2. Anche la Apple starebbe per lanciare il suo visore AR/VR. Questi apparecchi, da indossare come una maschera sugli occhi, in teoria sono l’anello di congiunzione tra la realtà aumentata, la realtà virtuale e quello che sarà il Metaverso. In Strange Days di Kathryn Bigelow si immagina qualcosa che potremmo incontrare davvero in un futuro prossimo: Lenny Nero, un ex-poliziotto, vive spacciando clips per il “filo-viaggio”, sulle quali vengono registrate esperienze altrui come realtà virtuale, che includono input sensoriali, come vista, udito, tatto ed olfatto, e che, tramite un lettore SQUID (Dispositivo Superconduttore a Interferenza Quantica), possono essere rivissute da chiunque. 

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App e dispositivi salva vita

Anche le App Salvavita, per fortuna, si stanno diffondendo. Oggi è molto più semplice mandare la propria posizione o una richiesta di soccorso in caso di emergenza. È sufficiente avere uno smartphone (che per usare le mappe ha un GPS integrato). Perché tutto funzioni al meglio, è necessario integrare i dati inviati dagli utenti in difficoltà nei sistemi dei servizi di emergenza così che i soccorritori siano indirizzati nello stesso modo in cui lo sono quelli delle ambulanze. Queste tecnologie sono particolarmente importanti per gli arresti cardiaci. Quando c’è un’emergenza sanitaria di questo tipo, ogni minuto che passa senza massaggio cardiaco e defibrillazione, le chance di sovravvivenza si abbassano del dieci per cento. La Apple è avanti da questo punto di vista: da tempo ha integrato nei suoi iPhone ed Apple Watch importanti funzionalità salvavita. Di recente il musicista Eugenio Finardi è stato salvato dal suo Apple Watch che ha segnalato subito una fibrillazione atriale in corso.

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Auto con guida autonoma

Le Automobili con Guida Autonoma sono tra noi (anche se, per questioni legate ai regolamenti e alle infrastrutture di strade e città, questa autonomia è ancora parziale). Prima c’era solo la Google Car, una scatolina che girava in Silicon Valley con una velocità massima di 25 miglia all’ora. Ora, anche in Italia, le Tesla, la macchina elettrica con guida autonoma di Elon Musk, non ci contano. Anche la Apple starebbe per lanciare a breve un suo veicolo elettrico con molte funzioni automatizzate. Le case automobilistiche, già da qualche anno, si sono adeguate e stanno facendo molta ricerca. Sulle vetture Audi, BMW e Mercedes di fascia alta, ci sono intelligenze artificiali in grado di prendere il controllo della macchina in condizioni particolari e quasi tutte sono in grado di parcheggiare da sole. Persino la nuova FIAT 500 elettrica ha nei modelli di punta una tecnologia di assistenza alla guida. Tuttavia ciò che ci separa dall’avere una Supercar come K.I.T.T. nel nostro garage non sono solo problemi tecnici, ma anche etici. Se si viene investiti da una Tesla senza pilota è ancora poco chiaro di chi sarebbe la responsabilità civile e penale. Oggi in Europa il responsabile sarebbe il produttore. In caso di incidente si farebbe riferimento alla responsabilità per i prodotti difettosi introdotta dall’Europa con una direttiva del 1985. Com’è ovvio, ci vorranno delle nuove normative unificate, perché un’automobile con guida autonoma non è un elettrodomestico.

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Ci sono, poi, tecnologie che erano state previste, ma non sono più arrivate, oppure non si sono ancora sviluppate oltre un certo livello. Ecco un’altra carrellata.

PROFUMI DIGITALI

Profumi digitali

Immaginate di vedere un selfie accompagnato dall’essenza di un profumo, la foto di una bistecca su Instagram accompagnata dall’odore della carne alla griglia o la foto di un’orchidea che profuma meravigliosamente. Nei prossimi anni la capacità di trasmettere digitalmente odori raggiungerà il pubblico di massa.

La digitalizzazione di messaggi, immagini e suoni appartiene ormai al secolo scorso. Nel 2014 scienziati di Regno Unito, Stati Uniti e Giappone hanno rivelato dispositivi che possono simulare elettronicamente odori, aprendo una strada maestra al sistema limbico del cervello, la parte responsabile per la memoria e la generazione di emozioni.

Altri ricercatori stanno studiando l’effetto degli odori sintetici, trasmessi via Internet, sulle emozioni. Le implicazioni per il marketing sono enormi. Il profumo digitale di acqua salata e brezza marina su un sito di viaggi aumenterà la probabilità di prenotare una vacanza al mare?

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NANOTECNOLOGIE

Nanotecnologie

La miniaturizzazione delle componenti è ciò che ha permesso e sta realizzando un progresso tecnologico senza precedenti per la sua velocità, soprattutto in ambito informatico. Ci sono prototipi di chip quasi invisibili a occhio nudo, mentre dispositi di archiviazione grandi come pacchetti di sigarette che una volta contenevano pochi megabyte adesso hanno una capacità di diversi terabyte. Tutto questo ci fa pensare che nell’immediato futuro ci saranno sempre più device “indossabili” (wearable). Tutto questo è possibile grazie alla nanotecnologia.

La nanotecnologia riguarda il controllo della materia su scala dimensionale inferiore al micrometro (in genere tra 1 e 100 nm) e la progettazione e realizzazione di dispositivi in tale scala. Si tratta di una tecnologia a livello molecolare che ci permetterà di porre ogni atomo dove vogliamo che esso venga posizionato.

L’applicazione delle nanotecnologie al campo medico promette meraviglie. Si stanno testando micro-robot dotati di nanomotori che saranno inghiottiti come normali pillole e potranno fare un check-up accurato dell’organismo ospite o eliminare delle cellule cancerose eseguendo interventi chirurgici intracellulari.

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INTELLIGENZE ARTIFICIALI

Intelligenze artificiali

Si parla di intelligenza artificiale almeno dal 1956. La possibilità di dotare le macchine e i computer di un cervello evoluto simile a quello dell’uomo è la frontiera più affascinante e allo stesso tempo inquietante della tecnologia. La letteratura di fantascienza ci ha speculato parecchio.

Al momento, probabilmente, il cervello artificiale più sofisticato è quello di Watson, il supercomputer sviluppato da IBM. Ha la capacità di comprendere e rispondere a domande in linguaggio naturale. È stato allenato a partecipare contro concorrenti umani a Jeopardy!, il più popolare quiz TV americano. Dopo qualche ottimizzazione, è stato capace di battere sul tempo Brad Rutter e Ken Jennings, i campioni storici di Jeopardy! e vincere.

Esistono, comunque, già dei Bot (programmi automatici che si collegano a Internet) in grado di scrivere autonomamente delle breaking news o addirittura romanzi in linguaggio naturale. Non è inverosimile immaginare che molto presto le macchine supereranno il Test di Turing.

Se questo può sembrare un’esagerazione, c’è chi pensa addirittura che in un prossimo futuro i computer saranno senzienti, cioè consapevoli di se stessi. Questo, secondo due esperti, potrebbe portare alla distruzione del genere umano. A dirlo sono Elon Musk, il fondatore di PayPal, che ora costruisce le automobili elettriche Tesla, e Stephen Hawking, il più famoso fisico teorico del mondo.

Insomma, scenari apocalittici come quelli dei film 2001: Odissea nello spazio (pensiamo a Hal 9000 che si rivolta contro i due astronauti) e Terminator (la Rete di supercomputer Skynet diventa cosciente e lancia una guerra contro il genere umano) potrebbero diventare realtà.

Tuttavia, con tutto il rispetto per questi scienziati, mi piace pensare a un futuro in cui le macchine intelligenti lavoreranno affianco agli uomini e si rapporteranno con noi in maniera sempre più naturale. Anche se ci sostituiranno nella maggior parte dei lavori, nasceranno nuove professioni e tutto il tempo libero che si libererà ci permetterà di dedicarci ad attività creative sempre più interessanti, se sapremo sfruttarlo.

Forse, in un futuro non troppo lontano, in ogni casa avremo un androide (un robot con aspetto umanoide) che ci farà da maggiordomo o addirittura da partner affettivo. Per la psicologa Sherry Turkle questa è una possibilità più che verosimile. Nel suo saggio Insieme ma soli dimostra, con una velata preoccupazione, che per gli esseri umani sta diventando sempre più naturale interagire emotivamente e affettivamente con le macchine. Quando ci sarà un versione più intelligente di Siri, potrebbe succedere a tutti, quindi, anche ai più scettici, di innamorarsi di un OS, come si vede nel film Her di Spike Jonze.

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QUANTUM COMPUTING

Computer quantistici

Si tratta del tipo di calcolo di una nuova generazione di computer superpotenti. In breve, i computer quantistici possono risolvere problemi che sono troppo difficili per un computer classico, che può processare le informazioni solamente con gli 1 e gli 0 (il codice binario). Nell’universo quantistico gli 1 e gli 0 possono esistere in due stati (qubit) alla volta, permettendo computazioni in parallelo. Perciò, con due qubit abbiamo 4 valori allo stesso tempo: 00, 01, 10, 11.

La National Security Agency già prevede che la crittografia attualmente in uso sarà resa completamente obsoleta quando i computer quantistici supereranno una massa critica di utilizzatori, come personal computer.

Non è ancora possibile comprare un computer quantistico, ma se ne parlerà parecchio. Alcuni tra le più importanti aziende della Silicon Valley ci stanno lavorando, tra cui IBM, Microsoft, Hewlett-PackardGoogle e D-Wave.

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CONOSCENZA AUMENTATA

Conoscenza aumentata

Alcune delle ricerche più strabilianti mescolano le neuroscienze con l’intelligenza artificiale. Si parla già di telepatia digitale perché possiamo mandare informazioni direttamente da un cervello all’altro via internet. Scienziati della University of Southern California stanno lavorando a una protesi neurale cognitiva che può recuperare e potenziare le funzioni della memoria.

Questa ricerca, dimenticando per un attimo Matrix,  ha lo scopo di aiutare le vittime di infarti o traumi cerebrali a recuperare le loro abilità cognitive e funzioni motorie. Invece di fare la classica riabilitazione, basterebbe ricaricare le memorie giuste.

Ma questo implica anche che un giorno potremo migliorare le nostre abilità mentali per mezzo di un dispositivo computerizzato. L’apprendimento potrebbe diventare semplice quanto caricare una chiavetta USB.

2001 di Kubrick, 50 anni dopo: una re-visione

Ho rivisto 2001: Odissea nella Spazio di Stanley Kubrick. Questa volta al cinema, in 4k e 70 mm. Il suo è un futuro passato, ma ancora molto presente nonostante sia uscito nel 1968. Sono passati 50 anni, eppure ci costringe ancora ad affrontare interrogativi fondamentali. Non ha perso affatto la sua forza dirompente e rivoluzionaria. Ho fatto anche un esperimento sociologico. Ero curioso di vedere la reazione che avrebbe avuto un cervello contemporaneo, abituato o assuefatto ai ritmi delle serie TV, di fronte a un film del ’68, con quel montaggio e quei piani sequenza. Mi aspettavo qualcosa tipo:

Invece il cinema era pieno, anche di ragazzi. E non ho visto facce stranite. Anch’io, nonostante l’abbia visto più volte e sia un nerd cinefilo, ero un po’ preoccupato per la mia resistenza attentivo-cognitiva. Ma le 2 ore e 44 minuti sono volate, inaspettatamente. E ne sono nate nuove riflessioni. Eccole.

C’è un legame tra violenza, intelligenza e tecnologia?

Chi la pensa così è un pessimista. E probabilmente Kubrick lo era. All’inizio del film, infatti, i nostri progenitori scimmieschi, gli antenati dell’uomo, lottano per la sopravvivenza. Devono difendersi dai predatori carnivori e dagli altri gruppi di scimmie che periodicamente cercano di occupare il loro territorio. Il salto evolutivo avviene quando una delle scimmie impugna un osso e capisce che può usarlo come un’arma.

È l’alba dell’uomo: l’intelligenza superiore si manifesta con la scoperta di uno strumento, un oggetto utilizzabile per modificare il corso naturale della natura. Ora gli ominidi possono cacciare anche grossi animali, difendersi dai predatori e dagli altri clan e, all’occorrenza, uccidere. Fa impressione che Kubrick, in una sequenza passata alla storia, mostri quell’osso, utensile ma anche arma, mentre si trasforma in un satellite, portandoci istantaneamente dalla preistoria all’era dell’esplorazione spaziale.

L’umanità è un bug?

HAL 9000 è un’intelligenza artificiale senziente che parla con la voce rassicurante di uno psicologo ipnotista degli anni ’60. Dice con orgoglio che tutti i computer della sua serie sono infallibili. Cioè qualsiasi errore che li veda coinvolti non può che avere origini umane. Ma come vedremo, non sarà così. La parabola tragica di HAL anticipa, cinquant’anni prima, una paura tutta contemporanea e di estrema attualità. Quella della singolarità tecnologica. Una buona fetta di scienziati (che comprendeva Stephen Hawking) e di imprenditori della Silicon Valley (tra cui Elon Musk) è convinta che le ricerche sull’intelligenza artificiale vadano tenute sotto controllo o addirittura rallentate, perché, nel caso questa superasse le capacità umane, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Uno scenario alla Terminator che Kubrick profetizza già nel 1968. Non è un caso che l’occhio di HAL 9000 sia rosso (come quello dei cyborg immaginati nel 1984 da James Cameron), un colore che ritroviamo nell’iconografia dei demoni. Il paradosso è che HAL 9000, costruito per mettere a suo agio l’equipaggio di una nave spaziale e sembrare umano, comincia davvero a mimare l’umanità nel momento in cui rinuncia alla sua infallibilità e comincia a sbagliare, a prendere decisioni discutibili. Persino a uccidere, pur di difendere il suo diritto a esistere. E quando il superstite Dave Bowman gli disattiva i moduli di memoria, prima dell’epilogo, e HAL comincia ad aver paura di morire, regredendo sempre di più fino a cantare la filastrocca infantile giro giro tondo, si ha quasi pietà di lui, nonostante l’effetto perturbante del suo occhio che fino a un momento prima sembra onnisciente.

Il silenzio è la più potente cassa di risonanza

La genialità di Kubrick sta anche nell’aver introdotto la musica classica in un film di fantascienza. All’inizio non si può che restare sorpresi dalla stazione spaziale che sembra danzare sulle note del famoso valzer del Danubio Blu di Johann Strauss II. Tuttavia sono le lunghe sequenze senza musica che colpiscono. In alcune scene il silenzio quasi assoluto crea una tensione drammatica fortissima. E disturbante. In pochi secondi di silenzio Kubrick mette in scena la morte del co-pilota Frank Poole. Ci vuole un altro istante perché lo spettatore, col fiato sospeso, capisca che quello che ha visto non è un incidente, ma un omicidio. Subito dopo Dave si rende conto che HAL 9000 ha ucciso tutto l’equipaggio tranne lui, e viene sopraffatto da un misto di rabbia e disperazione, che non gli impediscono, tuttavia, di perseguire un unico intento: disattivare HAL. A partire da quel momento, e anche dopo l’attraversamento della soglia (oltre lo spaziotempo e l’umano), sarà il respiro di Dave ad accompagnarci, a scandire il ritmo del film fino alla fine.

(Di 2001 avevo già scritto. È successo dopo aver visto Interstellar di Christopher Nolan. Ho usato il capolavoro di Kubrick per commentare quello di Nolan. E ho trovato 8 somiglianze tra i due film che non sembrano casuali.)

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10 cose sull’amore che ho capito guardando “Her”

Nel 2013 è uscito Her (Lei), un film scritto e diretto da Spike Jonze e interpretato da Joaquin Phoenix ed Amy Adams.

È un dramma sentimentale ambientato in un futuro non troppo diverso dal nostro. La particolarità è che in questo futuro è normale avere rapporti affettivi con intelligenze artificiali. Sarà proprio un rapporto intimo che legherà il protagonista Theodore e Samantha, il suo OS.

Quello che sorprende di questa storia è la sua profondità e quanto ci faccia riflettere sull’amore, al pari di un trattato filosofico sulla vita amorosa. Ho visto Her più di una volta, individuando alcuni temi.

Mi sono fatto aiutare dai Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes.

1a. Il veleno delle coppie è l’incomunicabilità.

1b. L’amore è comunicazione.

Parlarsi è molto importante quando si sta insieme. Quando si comincia a farlo sempre meno, spesso è l’inizio della fine. Succede a Theodore con Catherine, la sua ex. E anche le cose con Samantha prendono una brutta piega quando lei comincia a dedicargli sempre meno attenzione.

È significativo che questa fase corrisponda per Theodore al diradarsi delle notifiche sul suo dispositivo, fino al messaggio implacabile sul display: Sistema operativo non trovato.

Nei Frammenti, alla voce “Mutismo. Senza risposta”, Barthes dice:

Simile a una difettosa sala da concerto, lo spazio affettivo comporta dei recessi morti in cui il suono non circola più.

e ancora:

Dall’attenzione assente nasce un’angoscia di decisione: devo o non devo andare avanti, parlare «nel deserto»? Avrei bisogno di avere quella spigliatezza che proprio la sensibilità amorosa non può darmi. Devo o non fermarmi, rinunciare? Sarebbe come dare a vedere che mi offendo, che metto in causa l’altro, e da questo prenderebbe lo spunto «una scenata». Ancora una volta ci si trova di fronte al tranello.

2. L’amore non può prescindere dai corpi degli amanti.

Forse è anche per questo che la storia tra Theodore e Samantha finisce. Lei non ha un corpo. Ha solo una voce. L’amore è fatto di carne, di pelle, che quando non si fondono, comunque, si toccano, si sfiorano. I rapporti a distanza, a meno che la lontananza non sia provvisoria, non possono durare a lungo.

E non c’è lontananza più grande che essere privi di un corpo.

Questo Samantha lo capisce. E prova a vivere nel corpo di un’altra persona. Paga una ragazza perché, seguendo le sue istruzioni via auricolare, faccia l’amore con Theodore. Ma la cosa non funziona. Theo, paradossalmente, trova quell’espediente umano artificioso, sebbene la ragazza sia davanti a lui, in carne ed ossa e molto attraente. Non è Samantha.

Barthes, alla voce “Corpo. Il corpo dell’altro”, dice:

Il suo corpo era diviso: da una parte, il corpo vero e proprio – la sua pelle, i suoi occhi – tenero, caldo, e, dall’altra, la sua voce, breve, rattenuta, soggetta ad accessi di lontananza, la sua voce, che non dava ciò che dava il suo corpo.

e continua poco dopo:

A volte, un’idea balena nella mia mente: mi metto a scrutare lungamente il corpo amato (come il narratore davanti al sonno di Albertine). Scrutare vuol dire frugare: io frugo il corpo dell’altro, come se volessi vedere cosa c’è dentro, come se la causa meccanica del mio desiderio si trovasse nel corpo antagonista (sono come quei bambini che smontano una sveglia per sapere cos’è il tempo). 

3. L’assenza è dolorosa quanto la solitudine.

Nella solitudine si soffre perché non possiamo amare né essere amati. Manca l’oggetto d’amore. Manca la reciprocità dell’amore.

Ma anche l’assenza fa male. Theodore soffre perché, fallito il suo matrimonio, pensa ancora a Catherine, la sua ex moglie, la donna che ha amato. Anche quando supera la cosa e a livello psicologico elabora il lutto (che per Freud equivale alla perdita di un amore), nel momento in cui l’intimità con Samantha si incrina e lei sparisce, sprofonda nuovamente nella disperazione.

Barthes alla voce “Solo” scrive:

La solitudine dell’innamorato non è la solitudine di una persona (l’amore si confida, parla, si racconta): è una solitudine di sistema: io sono solo a farne un sistema (forse perché sono continuamente ricacciato nel solipsismo del mio discorso). Difficile paradosso: io posso essere inteso da tutti (l’amore deriva dai libri, il suo è idioma corrente), ma al tempo stesso posso essere ascoltato (accolto «profeticamente») solo da chi ha esattamente e adesso il mio stesso linguaggio.

4. Una delle cose che unisce di più è la gioia della condivisione.

Nel film ad un certo punto Theodore dice:

C’è qualcosa che ti fa stare bene quando condividi la vita con qualcuno.

Si riferisce alla sua ex moglie, quando stavano insieme. Ma anche a Samantha. Spesso Theodore porta il dispositivo nel taschino della camicia. Attraverso la telecamera incorporata Samantha può condividere con lui esperienze significative come una passeggiata o un picnic. E qui si mette in atto un altro spiazzante paradosso: attraverso un occhio virtuale, una protesi che cerca di andare oltre l’assenza di un corpo, Samantha prova a recuperare qualcosa di umano, a essere presente nei momenti importanti della vita di Theodore.

Invece, normalmente, sembra che accada il contrario: la tecnologia e i computer sono considerati sempre più spesso estensioni del nostro cervello e delle nostre capacità, che si allontanano, quindi, da ciò che possiamo definire “umano”, soprattutto per i suoi limiti.

Mi viene in mente una nota del diario di Christopher McCandless (la cui storia tragica è stata raccontata da Into the Wild, lo splendido film di Sean Penn) che dice:

La felicità, se non è condivisa, non è reale.

Tuttavia accade che quando siamo felici è come se fossimo dentro un flusso. Questo flusso, il più delle volte, non possiamo raccontarlo. Siamo troppo presi oppure inconsapevoli della preziosità di quei momenti. Barthes lo spiega molto bene nei Frammenti alla voce “Appagamento”:

L’io parla solo quando è ferito; quando mi sento appagato o mi ricordo di esserlo stato, il linguaggio ci appare angusto: io sono trasportato fuori del linguaggio, cioè fuori del mediocre, del generico: «Avviene un incontro che, a causa della gioia, è intollerabile, e talora l’uomo ne è annichilito; questo è ciò che io chiamo il trasporto. Il trasporto è la gioia di cui non si può parlare».

5. Il passato è solo una storia che ci raccontiamo.

Lo dice Samatha a Theodore. Cosa c’entra con l’amore? Beh, Theodore soffre ancora per la separazione dalla moglie Catherine. Allora Samantha è come se gli volesse dire: “sta a te continuare a farti del male oppure vedere le cose in modo diverso: non devi per forza essere schiavo dei sensi di colpa e del rimpianto“.

Spesso usciamo da una storia veramente malconci. Immediatamente dopo non riusciamo a trovare forza e ragioni per ricominciare. Ma dobbiamo farlo. E, indipendentemente da quello che abbiamo vissuto (salvo casi gravi o tragici), il modo migliore per farlo è ricordare solo le cose belle di quella persona o di quella storia. E quelle cose belle riconoscerle in noi. Forse questo è il senso che si cela dietro le parole di Samantha.

Alla voce “Ricordo” dei Frammenti, leggiamo:

Mi ricordo per essere infelice/felice – non per capire.

6. I rapporti a tre, o le coppie aperte, fanno soffrire sempre qualcuno.

Non dico che sia sempre così. A volte funziona. Ma il più delle volte no. Di solito qualcuno s’innamora e questo qualcuno comincia a soffrire parecchio perché non accetta più le regole del compromesso iniziale, cioè la non esclusività di un partner.

Samantha ad un certo punto della sua storia con Theodore prova a prendere a prestito il corpo di una ragazza. La paga perché faccia l’amore con lui. Ma la cosa non funziona perché Theodore lo vive da subito come un rapporto a tre, neanche per un attimo riesce a fare finta che sia Samantha che fa l’amore con lui con un corpo “ritrovato”.

(In realtà le cose sono più complesse: ci sono persone convinte che sia possibile amare più di una persona contemporaneamente. Ne riparleremo più avanti.)

È interessante quello che dice Barthes in proposito alla voce “Connivenza”:

La gelosia è un’equazione a tre termini permutabili (indecidibili): si è sempre gelosi di due persone contemporaneamente: io sono geloso di chi amo e di chi lo ama. L’odiosamato (il «rivale») è anche amato da me: esso m’interessa, m’incuriosisce, mi affascina.

7. L’amore spesso è una pazzia, contraria a qualsiasi forma di logica e di buonsenso. Eppure, nonostante le razionalizzazioni, ci caschiamo lo stesso.

Amy dice a Theodore: chiunque si innamori è un maniaco. È una cosa folle da fare. È una specie di pazzia socialmente accettata.

Alla voce “Pazzo” dei Frammenti Barthes spiega:

Si dice che ogni innamorato sia pazzo. Ma si può immaginare un pazzo innamorato? No, certo. Io ho solamente diritto a una follia povera, incompleta, metaforica: l’amore mi rende come pazzo, ma io non comunico con il soprannaturale, non sono pervaso dalla sacralità; la mia follia, semplice stoltezza, è piatta, per non dire invisibile; per di più, la cultura l’ha totalmente addomesticata: essa non fa paura. (E tuttavia è proprio nello stato amoroso che certi soggetti pieni di buonsenso intuiscono che la follia è lì davanti, possibile, vicinissima: una follia che travolgerebbe l’amore stesso).

8. Una canzone è la migliore fotografia di un rapporto.

La musica e le canzoni hanno qualcosa di magico. Possiamo avere tutti gli album di fotografie del mondo, ma il più delle volte sarà una canzone che ci restituirà l’istantanea più intensa, calda e colorata di un momento della nostra storia d’amore.

Forse c’entra il sistema limbico del nostro cervello, l’evidenza neuroscientifica che ricordi ed emozioni sono inestricabilmente legati. E non c’è niente di più emozionante della canzone giusta al momento giusto.

Anche Samantha compone una canzone per Theodore, durante una gita al mare. Quando Theodore le chiede perché lo sta facendo lei risponde: “per fermare la bellezza di questo momento insieme“.

È molto bello e pertinente quello che scrive Barthes alla voce “Dedica”:

Il canto è il prezioso complemento di un messaggio vuoto, interamente racchiuso nel suo indirizzo, poiché ciò che io dono cantando è al tempo stesso il mio corpo (attraverso la mia voce) e il mutismo di cui tu ti servi per colpirlo. (L’amore è muto, dice Novalis; solo la poesia lo fa parlare).

9. Quando si cresce in modo diverso, spesso ci si allontana.

Gli esseri umani inevitabilmente evolvono. Nel bene o nel male. Quando due persone stanno insieme, sono un coppia, è come se le loro anime si sincronizzassero. Ma può succedere anche che in alcuni momenti vadano fuori fase, che facciano esperienze diverse. Quello può essere l’inizio di una crisi.

Samantha improvvisamente sparisce. Theodore è disperato. Non riesce più a parlare con lei. Poi Samantha ricompare. Dice a Theodore che si è assentata per un upgrade del suo sistema, un aggiornamento. Ma lui capisce subito che il loro rapporto si è incrinato.

La voce “Esilio” dei Frammenti dice:

La passione amorosa è un delirio; ma il delirio non è poi così straordinario; tutti ne parlano e ormai non fa più paura. Enigmatica è semmai la perdita di delirio: dove porta?

10. L’amore monogamo potrebbe essere una forma di egoismo.

Qui rischio di essere frainteso, ma ragioniamo un attimo insieme. Quanto c’è di chimico, quanto di culturale e quanto di spirituale nelle nostre storie d’amore?

Quando siamo innamorati di qualcuno, siamo portarti a pensare, con tutta la buona fede del mondo, che l’altro, in qualche modo, ci appartenga. Ma, se ne siamo convinti, questa potrebbe essere una concezione molto limitata (e ingiusta) dell’amore. Forse l’amore va ben oltre un rapporto di coppia. Forse l’amore, in senso pieno, è qualcosa di universale, che abbraccia tutti gli esseri viventi e il cosmo. Ma mi rendo conto che non tutti possono essere il Buddha.

Alla fine di Her c’è la parte più intensa e significativa del film, quella in cui Samantha confessa a Theodore di avere conversazioni simultanee con altre 8316 persone.

Con 641 di queste ha altrettante storie d’amore.

Samantha dice a Theodore:

Io sono tua, ma anche non tua.

Theodore è sconvolto. Lo considera un tradimento. Ma per Samantha non lo è. Lei si è evoluta. E invita anche Theodore a farlo, perché è l’unico modo per dare un senso alla loro storia e al loro addio.

Samantha, un’intelligenza artificiale, insegna a Theodore che l’amore è qualcosa di molto più grande di quello che entrambi avevano concepito quando stavano insieme.

Alla voce “Sprofondare” Barthes scrive:

La crisi di inabissamento può scaturire da un dolore, ma anche da una fusione: moriamo insieme per il fatto di amarci: morte aperta per diluizione nell’etere, morte chiusa della tomba comune.

Trovate questo scenario improbabile e inverosimile? Oppure temete che si realizzi veramente? In ogni caso leggete “Insieme ma soli“, il saggio sorprendente dove la psicologa Sherry Turkle fa un’indagine approfondita proprio delle relazioni che instauriamo con robot e macchine più o meno intelligenti. Dalle sue ricerche emerge che ci sono già bambini che si affezionano, ad esempio, al loro Tamagotchi, trattandolo come un animale domestico pur sapendo che è un oggetto, e ancora anziani giapponesi che, vivendo in una casa di riposo, si sentono meno depressi stabilendo un contatto fisico con un cucciolo di foca robot. La Turkle si spinge più in là affermando che in futuro diventerà normale avere dei robot anche come partner sentimentali e sessuali, perché con questi, rispetto agli esseri umani, non si avranno problemi di fedeltà e sarà possibile interrompere il rapporto in qualsiasi momento, senza traumi o complicazioni (a meno che non ci innamoriamo del nostro androide, s’intende).

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Abbiamo costruito un wormhole?

LA VIA LATTEA È UN WORMHOLE?

Paolo Salucci è un astrofisico della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste ed esperto di materia oscura nell’universo. Ha pubblicato da poco sulla rivista Annals of Physics una ricerca che ipotizza che la nostra galassia potrebbe essere un gigantesco wormhole. Lo scienziato ha dichiarato in un’intervista:

Se mettiamo insieme la mappa della materia oscura nella Via Lattea col modello più attuale del Big Bang che spiega l’universo e ipotizziamo l’esistenza dei cunicoli spazio-temporali, allora quello che otteniamo è che nella nostra galassia potrebbe davvero esserci uno di questi cunicoli, e che potrebbe addirittura essere grande come la galassia stessa. E non finisce qui. In questo cunicolo si potrebbe anche viaggiarci dentro, perché, in base ai nostri calcoli, sarebbe navigabile. Proprio come quello che tutti abbiamo visto nel recente film “Interstellar”.

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Neil Harbisson: il cyborg che “sente” i colori

Neil Harbisson è un cyborg di 32 anni (il primo registrato: ha un passaporto dove viene descritto il dispositivo che ormai è parte di lui). Dall’età di 21 anni ha un’antenna impiantata chirurgicamente nel cranio. È affetto da acromatopsia, una cecità congenita che gli impedisce di percepire i colori. L’antenna intercetta le radiazioni luminose intorno a lui e le converte in suoni, permettendogli di “sentire” i colori.

Il rapporto degli uomini con la tecnologia è destinato a diventare sempre più intimo. In futuro – Harbisson pensa nei prossimi 10-15 – cyborg con parti umani e parti meccaniche saranno la norma.

Credo che succederà nei prossimi vent’anni che io sarò in grado di camminare per strada ed essere normale,

dice Harbisson a proposito della sua antenna,

Proprio perché sarà normale vedere qualcun altro con una nuova parte del corpo.

Harbisson parla di Internet come di un “senso corporeo”. Nello stesso modo in cui assaggiamo il cibo e sentiamo la consistenza degli oggetti per interagire con il mondo, crede che gli esseri umani useranno Internet per comprendere il mondo attraverso le informazioni e i dati.

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