“Stiamo abbastanza bene“ di Francesco Spiedo

La disoccupazione giovanile, da tempo, è una piaga sociale. Gli ultimi dati dell’ISTAT parlano del 32,1 % (per la fascia di età 15-24 anni). Nel Sud Italia, poi, la situazione è ancora più drammatica. Questo spinge molti giovani ad abbandonare la loro città natale per raggiungere le città del Nord, dove si pensa di trovare maggiori opportunità professionali e condizioni di vita migliori.

Andrea Lanzetta, il protagonista di “Stiamo abbastanza bene” (Fandango Libri), sembra proprio uno di questi ragazzi: si trasferisce da Napoli a Milano, spinto da una necessità che, come capiremo nel corso del libro, forse è più esistenziale che professionale. Ha una laurea in matematica, i suoi lo vorrebbero insegnante e disapprovano il suo trasferimento, ma lui parte lo stesso, forse senza avere le idee molto chiare né un piano, e i primi tempi accetta di fare lavoretti anche umili, come il sostituto portiere in un condominio, l’addetto alla sicurezza notturna in un supermercato e il cameriere in un pub, pur di pagarsi l’affitto del suo piccolo bilocale con il soffitto ammuffito, cercando di far preoccupare il meno possibile i suoi genitori.

Man mano che la storia procede, e lo fa abbastanza bene grazie alla scrittura fluida e all’ironia dell’autore, ci rendiamo sempre più conto che Andrea Lanzetta non è a Milano per costruirsi una carriera come ci si sarebbe aspettati, ma è lì perché la città rappresenta il migliore altrove possibile. Per cosa? Per reinventarsi e, soprattutto, per dimenticare un amore che considerava la cosa più importante della sua vita. Andrea Lanzetta, almeno all’inizio, quindi, è un inetto, un irresponsabile: dopo il salto nel buio del trasferimento in una realtà metropolitana che gli è aliena, si lascia travolgere sempre più dagli eventi. La sua impotenza, la sua incapacità di scegliere, lo metterà nei guai, facendogli attraversare situazioni molto pericolose. Ma alla fine, anche grazie a un colpo di fortuna, riuscirà a cavarsela, a dare il giusto peso a quello che gli è successo, senza sforzarsi di capire più di tanto il perché.

A una lettura superficiale il romanzo di Francesco Spiedo potrebbe sembrare il classico racconto di formazione di un napoletano che fa fortuna o in qualche modo se la cava in una città del Nord. Probabilmente è anche questo. Si potrebbero trovare alcuni personaggi un po’ stereotipati e i frequenti intermezzi del napoletano, che spuntano fuori quando il protagonista si confronta con i suoi conterranei, potrebbero anche un po’ infastidire. Ma l’intelligenza del giovane autore fa in modo che tutti questi effetti siano attenuati e comunque funzionali alla storia. Se ci si ferma a riflettere e si prova a scavare in profondità, si capisce che quella di Andrea Lanzetta è l’allegoria dei Millennials (nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ’90), che vivono una vita in fuga, spesso scappando dalle responsabilità, che ha come sfondo l’incertezza di un futuro che non riesce a prendere forma, a cristallizzarsi, perché, come direbbe Bauman, è perpetuamente inafferrabile e liquido.

Andrea Lanzetta se ne va di casa, lascia Napoli, perché pensa che la felicità sia altrove, ingenuamente crede che la sofferenza, come una zavorra, si possa lasciare indietro, nel passato. Ma se la porterà dietro anche a Milano. Tuttavia i suoi lavori precari, talvolta degradanti, alla fine gli serviranno a capire che abbiamo bisogno di accettare l’angoscia senza lasciarci guidare da essa, anche nei momenti di crisi apparentemente insuperabili.

“Stiamo abbastanza bene” di Francesco Spiedo paradossalmente sembra volerci comunicare che siamo tutti emigranti. Il mondo delle vecchie generazioni, dei nonni e dei padri, è crollato, e tutti, per necessità o per puro istinto imitativo, partiamo alla ricerca di un nuovo inizio. Tutto questo, però, comporta un disagio nei giovani del quale si parla ancora troppo poco. Cambiare significa esporsi al giudizio, a nuove regole, allo sguardo altrui. Non è semplice per un giovane uomo che sta formando la sua identità e che ha bisogno di basarla anche sul suo lavoro e sul riconoscimento dei suoi sforzi e dei suoi meriti.

La libertà per un giovane di oggi spesso è una chimera. Anche se ci si è laureati e si è seguito un percorso prestabilito (ma spesso inadeguato ai tempi moderni), questo può non essere sufficiente. Se non si lavora, nonostante gli sforzi, e non si ha una famiglia, ci si può sentire inadeguati. E avere sensi di colpa per non aver ripagato i sacrifici, economici e non, della famiglia che ci ha sostenuto. Forse quella libertà la si può ritrovare solo smettendo di rincorrere un mondo che non esiste più. Forse bisogna smettere di pensare di poter sostituire i nostri padri, prendere il loro posto e godere degli stessi privilegi. Non preoccuparci di deludere chi non può capirci, ma pensare solo a non deludere noi stessi.

(Ultima modifica: 23 Febbraio 2023)

 
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