La storia della tecnologia, in particolare quella informatica, dovrebbe diventare materia scolastica obbligatoria, perché, meglio di tante altre lenti, ci aiuta a comprendere il presente e il cambio di paradigma cominciato (forse) con Alan Turing, l’evoluzione dei computer e delle Intelligenze Artificiali. Una piccola striscia di terra della California, la Silicon Valley, ha innescato dei cambiamenti a cascata dei quali è impossibile stimarne la portata. Siamo ancora nel flusso di questa rivoluzione digitale. Alessandro Baricco, da osservatore lucidissimo, l’ha capito e dice che “storicamente il videogame è uno dei miti fondativi dell’insurrezione digitale”. Il Game è lo scheletro, il sistema di significati, che tiene insieme le vite della maggior parte degli esseri umani del XXI secolo. Almeno di quelli che sono connessi o hanno uno smartphone.
Baricco costruisce una cronologia illustrata, o meglio una mappa di navigazione, per spiegare come questa mutazione tecnologica sia diventata una mutazione antropologica. Secondo lui il ‘900 si è sgretolato quando nel 2007 Steve Jobs è salito su un palco e ha presentato al mondo l’iPhone. Con l’interfaccia touch di questo nuovo dispositivo la conoscenza si è disancorata dalla profondità ed è arrivata sulla superficie.
Viene citato a ragione Stewart Brand:
“Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo.”
Questo hanno fatto i pionieri della rivoluzione informatica.
Il fondatore della Apple ci ricorda anche quanto sia diventato importante il racconto che facciamo della realtà e di noi stessi (e forse è sempre stato così). Alessandro Baricco, che si definisce uno storyteller, ci tiene a chiarire che lo storytelling non è una mistificazione, ma una parte della realtà. Quindi lo definisce in questo modo:
storytelling è il nome che diamo a qualsiasi design capace di dare a un fatto il profilo aerodinamico necessario per mettersi in movimento.
Quindi, un altro passaggio fondamentale che ha segnato la nostra epoca è che la verità si è messa in movimento. Ha smesso di reggersi su fondamenta incrollabili o di avere punti di ancoraggio. Dice Baricco:
Non c’è verità o meraviglia che non risulti inutile, ai nostri occhi, se incapace di entrare nella corrente di un qualche significativo flusso collettivo. Così, ciò che accede tende a farlo, per esistere veramente, con la forma di una traiettoria, di rado con la compostezza di un punto: sempre più spesso non ha un inizio, non ha una fine, e il suo senso è scritto nella traccia cangiante che lascia dietro di sé.
Il saggio di Alessandro Baricco ha molti pregi, aggrega categorie di senso che innescano molte riflessioni, ma allo stesso tempo (a una persona che come me ha vent’anni meno di lui e che, da migrante digitale, ricorda bene cos’era e cos’è diventato Internet) sembra il racconto di chi, dall’interno della caverna di Platone, questa rivoluzione l’ha soltanto sfiorata e in quell’Oltremondo non ci si è immerso mai completamente.
Tante pietre miliari sono rimaste fuori (ma forse è una scelta editoriale: la sensazione è che questo libro non sia stato scritto per i nativi digitali, ma per i loro genitori o per tutti quelli che loro malgrado si ritrovano immersi in questa tecnologia, rimpiangono il mondo analogico e fanno fatica a integrarsi). Ad esempio, è difficile capire perché non siano state neanche citate l’invenzione della scrittura (che ha riprogrammato i nostri cervelli) e quella dei caratteri mobili di Johannes Gutenberg (che ha sedimentato la memoria nei libri e quindi contribuito alla nascita di biblioteche e archivi — anche quelli digitali).
Baricco ad un certo punto dice:
Siamo d’altronde un mondo che se deve rinunciare a un po’ di qualità o poesia per guadagnare una certa velocità, lo fa volentieri. Siamo tutti figli della pentola a pressione.
Ebbene, non so voi, ma, sebbene sia tecnologicamente integrato, scelgo di essere dalla parte dei poeti.
(Ultima modifica: 19 Febbraio 2023)