“Tutti sono fotografi” di Martino Pietropoli

Martino Pietropoli è un architetto. Mi sono accorto di lui quando faceva l’editor per il progetto giornalistico di Medium Italia (poi archiviato). Poi ho scoperto il suo blog. E che faceva bellissime fotografie.

L’argomento del suo ebook non è affatto semplice, perché spacca a metà il mondo dei fotografi, che siano professionisti o semplici collezionisti di tramonti e viste mozzafiato su Instagram. È la mobile photography. Cosa ha cambiato il digitale? Nella fotografia, come in altri ambiti, TUTTO. Usare ancora la pellicola ha ancora il suo fascino e il suo valore ontologico. Come buttare giù un testo con la macchina da scrivere invece di usare il portatile. Possono entrare in gioco processi mentali, condizionati anche da livelli differenti di fatica muscolare, che possono insegnarci molto.

Ma rifiutare la tecnologia non ha molto senso. Soprattutto quando, superata una necessaria e sufficiente curva di apprendimento del nuovo strumento, ci semplifica parecchio la vita. Per me è una gran cosa che oggi possiamo metterci in tasca un dispositivo leggero e sottile che è l’equivalente (o quasi) di una reflex professionale e che costa un decimo. Poi c’è da dire che, se diventeremo davvero appassionati di fotografia, i nostri bei soldini li spenderemo lo stesso, perché ci verrà voglia di fotografare con ottiche diverse.

Comunque, il titolo scelto dall’autore, Tutti sono fotografi, prima ancora di leggere l’ebook, può far intendere che: considerato quant’è facile fotografare oggi, tutti sono davvero fotografi. Oppure, al contrario, che nessuno lo è, perché riuscire a scattare una foto gradevole e pubblicarla su Instagram non fa di noi un fotografo.

Martino Pietropoli parte proprio dalla considerazione che il digitale ha democratizzato la fotografia. Cioè che grazie a social network come Instagram si sono trovate a condividere fotografie persone che non si sarebbero mai sognate di farlo. E che hanno cominciato a farlo perché quello era un modo diverso di raccontarsi.

C’è qualcosa di bizzarro nel successo e nella crescita esponenziale di Instagram.

Instagram brutalizza la fotografia: ci costringe a vederla su scala ridotta.

Per quanto si siano allargati gli schermi degli smartphone, guardare le fotografie su uno schermo è sempre un grosso limite. C’è persino chi si chiede a cosa serva stampare fotografie oggi. Probabilmente non ha mai visto dal vivo un paesaggio urbano di Wim Wenders o un ritratto femminile di Helmut Newton stampati in grande formato.

Una cosa paradossale di Instagram e che Pietropoli fa notare brillantemente in un capitolo chiamato Come essere originale, sono le tendenze. Si tratta di tipologie di foto che sono ricorrenti nel feed del popolare social network. L’aspetto paradossale è che, essendo di tendenza, condividere foto che rientrano in una di queste categorie ci assicura riconoscibilità e quindi like. Ma, allo stesso tempo, è tutto il contrario di quello che dobbiamo fare se vogliamo essere davvero originali.

La fotografia digitale ha introdotto un aspetto importante che non esisteva prima. La post-produzione. Ai tempi della pellicola, dopo aver premuto click, i giochi erano fatti. Si andava in stampa e via. Soltanto i professionisti che possedevano costose apparecchiature potevano permettersi di processare e modificare una fotografia dopo uno scatto (e prima della stampa).

Idealmente la post-produzione non dovrebbe avere lo scopo di rendere una foto più bella, ma di avvicinarla all’idea che avevamo in mente. Secondo questa visione la verità di una foto non dipende da quanto si avvicini alla realtà, ma da quanto si avvicini appunto alla nostra idea. Quindi fotografare significa fondere sguardo e pensiero.

Martino Pietropoli si spinge fino a quella che sembra una parafrasi di Marshall McLuhan, quando dice che

La post-produzione è, in altre parole, il significato che vuoi dare al tuo lavoro. Il messaggio che vuoi che trasmetta.

In questo ebook non ci ho trovato niente di nuovo, ma quello che ho intravisto tra le righe mi ha soddisfatto parecchio. E ho cominciato a guardare i feed in maniera diversa. Ad esempio, il discorso della bellezza. È un dilemma filosofico. In parte è soggettiva, in parte dipende dal contesto. Però nel caso di Instagram è vero che una foto bella può essere anche brutta. Cioè la differenza la fa quello che riesce a comunicare. Non deve essere necessariamente una storia. Ma anche un’emozione o qualcosa di disturbante. E mi verrebbe da aggiungere che anche la perfezione è fastidiosa. Ciò che è bello deve includere l’imperfezione, altrimenti il suo valore di verità crolla. Ecco cosa ci può insegnare una fotografia su Instagram.

(Ultima modifica: 20 Febbraio 2023)

 
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